Forestbeat | Studio e conservazione delle foreste
Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise sono state localizzate le faggete più antiche d’Europa, candidate a diventare Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Noi vogliamo raccontarvi la storia di questo ecosistema così complesso e ricco di vita.
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La necessità di garantire una protezione permanente alle antiche faggete appenniniche e, nel particolare, a quelle che ricadono all’interno del PNALM, non è giustificata esclusivamente dalla loro unicità e ricchezza biologica, o dal riconoscimento di recente conferito loro dall’UNESCO, ma anche dall’importante ruolo di laboratori all’aria aperta che queste stesse foreste possono svolgere. La ricerca scientifica, infatti, si può focalizzare sullo studio delle varie componenti di queste meravigliose foreste “modello”, per cercare di comprenderne i meccanismi, sviluppare modelli che permettano di confrontarle anche con altri contesti e, in ultimo, di applicare al meglio le diverse strategie di gestione e conservazione degli ambienti e delle specie viventi.

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La protezione permanente delle faggete vetuste del PNALM non è giustificata esclusivamente dalla loro unicità e ricchezza biologica, o dal riconoscimento dell’UNESCO, ma anche dall’importante ruolo di laboratori all’aria aperta che queste stesse foreste possono svolgere

In effetti, la stessa scoperta di quella che è stata poi riconosciuta come la faggeta più antica d’Europa si deve proprio ad una ricerca scientifica, condotta dall’Università della Tuscia di Viterbo in collaborazione con il Servizio Scientifico del PNALM nei primi anni duemila. In quegli anni, un team di scienziati studiò in dettaglio la struttura della foresta di Val Cervara e stimato l’età dei suoi alberi. Attraverso un lungo lavoro di mappatura e misurazione sul campo e confrontando le osservazioni dirette con immagini aeree di archivio, scattate ad intervalli a partire dal secondo Dopoguerra, gli studiosi hanno potuto descrivere visivamente la struttura e in un certo modo ricostruire la storia di questa foresta “sopravvissuta”, ai fini di poterla esaminare a fianco di altri esempi noti di foreste vetuste localizzate altrove in Europa. Inoltre, attraverso la misurazione del diametro dei tronchi di alberi e l’esame di alcuni campioni di legno, o carote, estratti dagli stessi si è potuto calcolarne l’età. Questa, in alcuni casi, superava i 560 anni, battendo quindi tutti i precedenti record di longevità dei faggi registrati altrove. Le carote prelevate, inoltre, sono state esaminate in laboratorio non solo per contare gli anelli di accrescimento degli alberi, e quindi i loro anni, ma anche per capire le diverse fasi climatiche affrontate dalle piante durante la loro lunghissima esistenza. Anelli più ampi corrispondono a fasi di rapido accrescimento, cosidette di rilascio, dovute probabilmente a condizioni molto favorevoli di irradiazione solare e temperature; anelli ristretti a fasi più critiche, o di adugiamento. Questa importante e, se vogliamo, pionieristica ricerca non solo ha giustamente attirato l’attenzione del mondo accademico internazionale verso le nostre belle foreste, ma ha anche innescato il processo di candidatura dell’UNESCO. In seguito, essa è stata replicata negli altri siti di faggeta vetusta individuati all’interno dei confini del PNALM per permettere la definizione del cluster di faggete vetuste del Parco successivamente incluso nel Patrimonio mondiale dell’Umanità.

Il Prof. Piovesan, a capo del team di studiosi dell’Università della Tuscia che nei primi anni duemila ha studiato la faggeta della Val Cervara, ci racconta la storia di questa foresta così speciale.

Il regime di protezione integrale delle faggete vetuste, che ne vieta la manomissione e il taglio degli alberi, permette alle piante in esse presenti di compiere quindi tutte le fasi del proprio ciclo vitale, raggiungendo anche la morte naturale e la completa decomposizione una volta cadute a terra. Questa varietà strutturale e la presenza di legno morto, in piedi e sul terreno, favoriscono a loro volta la vita di una grande diversità di specie. Ed è proprio il legno morto, la necromassa, a rappresentare l’habitat di elezione di moltissimi organismi e, in particolare, di alcuni invertebrati che se ne nutrono. Questi insetti, cosidetti saproxilici, sono minacciati in molte aree a causa della rimozione degli alberi morti e la distruzione delle foreste. Per fortuna, nelle faggete del PNALM specie altrove assai rare, e “prioritarie” per la conservazione a livello europeo, come la coloratissima Rosalia alpina, il cervo volante Lucanus cervus dalle mandibole fuori misura, e il misterioso scarabeo eremita Osmoderma eremita, sono ancora presenti in buon numero. A riguardo, abbiamo seguito la squadra di ricercatori del progetto LIFE+ Natura “MIPP” (Monitoring of Insects with Public Participation) in azione nelle foreste del Parco. Questi ricercatori hanno innanzitutto individuato e cartografato molti faggi secolari su cui si riproducono i coleotteri target del progetto e ivi catturato temporanemente alcuni esemplari. Questi sono stati “marcati”, per permetterne il riconoscimento individuale, e poi rilasciati per studiarne gli spostamenti, le necessità ecologiche e le dinamiche di popolazione e ciò al fine di testare metodi di monitoraggio per questi insetti così speciali. Gli esemplari di Rosalia alpina, ad esempio, sono stati tutti raccolti su ceppi di alberi morti o su tronchi di faggio giacenti a terra e ormai scortecciati. Invece, per trovare l’osmoderma si è reso necessario mettere in pratica delle tecniche molto più raffinate… Come avviene per gli altri coleotteri saproxilici, anche questo misterioso scarabeo dal colore verde-metallico trascorre gran parte della sua vita larvale all’interno del tronco di un albero, nutrendosi del suo legno morto. Al terzo anno di vita, la larva si impupa e dal bozzolo, nei mesi estivi, emerge un adulto completamente formato e pronto alla riproduzione. In questa brevissima fase (non più di 30 giorni!) del proprio ciclo vitale, i maschi adulti di Osmoderma eremita emettono un feromone dal caratteristico profumo di frutta. Se da una parte, le femmine possono essere attratte in piccole trappole in cui è stata disciolta una sostanza che richiama l’odore maschile, nel caso dei maschi serve un fiuto sensibilissimo che ne permetta la localizzazione. Questo progetto innovativo, infatti si è avvalso dell’aiuto di un cane speciale, “Teseo”, addestrato sin da cucciolo per fiutare il caratteristico odore del feromone di questo insetto.

Nelle foto, il Dott. Campanaro del Progetto LIFE+ Natura “MIPP” esamina un esemplare di Rosalia alpina sul tronco di un faggio (a sinistra). Fasi della misurazione e marcatura di un Osmoderma eremita (a destra).

Ma nelle cavità e sotto la corteccia dei tronchi dei vecchi faggi si nascondono anche altri animali misteriosi. Le foreste vetuste del PNALM ospitano infatti una sorprendente varietà di pipistrelli, tra cui troviamo anche una vera e propria “star”… Da quasi vent’anni è in atto una collaborazione tra ricercatori dell’Università di Napoli “Federico II” e il PNALM per la realizzazione di progetti di ricerca destinati allo studio, al monitoraggio e alla conservazione dei Chirotteri del Parco. Una delle specie target di questo lungo lavoro è il raro barbastello Barbastella barbastellus. Si tratta di un piccolo pipistrello, il cui habitat d’elezione sono le faggete mature, dove sia minimo l’intervento umano e invece cospicua la presenza di alberi morti in piedi. Su questi e, in particolare, sotto le scaglie della loro corteccia, le femmine di barbastello in lattazione scelgono di localizzare i propri rifugi diurni. Date le peculiari esigenze ecologiche, non è un caso che proprio nel territorio del Parco sia stata localizzata l’unica popolazione riproduttiva di questa specie dell’intera Italia peninsulare. Ma tutte queste informazioni sul barbastello non erano note prima del lungo studio condotto dall’Università di Napoli. I ricercatori partenopei, infatti, dopo aver individuato dapprima i punti di abbeverata regolarmente utilizzati da questi animali, sono riusciti a catturare alcuni esemplari e marcarli con dei minuscoli e leggeri radiotrasmittenti, che non ne impediscono i normali movimenti e che si staccano da soli dopo pochi giorni. “Inseguendo” così gli animali marcati, gli scienziati sono riusciti quindi a individuare gli alberi-rifugio e esaminarne tutte le caratteristiche, con l’obiettivo di riuscire a comprendere meglio le abitudini di questi elusivi abitanti delle nostre faggete e garantire loro una sempre migliore tutela.

Le foreste vetuste ospitano una sorprendente varietà di pipistrelli. Da quasi vent’anni è in atto una collaborazione tra ricercatori dell’Università di Napoli “Federico II” e il PNALM per la realizzazione di progetti di ricerca destinati allo studio, al monitoraggio e alla conservazione dei Chirotteri del Parco

Come abbiamo già avuto modo di raccontarvi su questa pagina, parlando della corteccia dei faggi, si sa che alcuni alberi della foresta vengono spesso “scelti” dagli animali come punti di marcatura, ove lasciare un segno del proprio passaggio e così informare individui della stessa o altre specie. Sebbene ci siano uccelli, come i picchi, che sfruttano gli alberi come cassa di risonanza per diffondere i loro richiami, sono soprattutto i mammiferi a utilizzare questi “crocevia” naturali. In particolare, proprio il raro e minacciato orso bruno marsicano è l’animale che più spesso lascia le sue tracce sugli alberi delle faggete del Parco. In seguito a un lungo studio coordinato dal Servizio Scientifico del PNALM insieme ai ricercatori dell’Università di Roma “la Sapienza” e poi proseguito con il progetto LIFE Natura Arctos, sono stati individuati e cartografati moltissimi alberi utilizzati dagli orsi come grattatoi, in gergo tecnico definiti rub-tree. Questi alberi sono una miniera di informazioni per i tecnici del Servizio Scientifico del PNALM, che si occupano del monitoraggio degli orsi. Quando un animale si gratta, infatti, spesso alcuni suoi peli rimangono incastrati nella cortecca. Da questi peli, opportunamente raccolti e conservati, poi, si può estrarre il DNA del loro “proprietario” e quindi identificarne il corredo genetico, unico per ogni individuo, e censirne la presenza all’interno della popolazione. A volte, per favorire questa raccolta da parte dei ricercatori, sono stati temporaneamente fissati ai rub-tree dei brevi spezzoni di filo spinato, che non solo hanno evitato che i peli si disperdessero a causa del vento o della pioggia, ma che non hanno nemmeno disturbato gli orsi, i quali apprezzano sempre un’energica “grattatina”.

Nel PNALM sono stati individuati molti alberi utilizzati dagli orsi come grattatoi, in gergo tecnico definiti rub-tree. Questi alberi sono una miniera di informazioni per i tecnici del Servizio Scientifico del PNALM, come la Dott.ssa Roberta Latini nella foto, che si occupano del monitoraggio degli orsi: dai peli lasciati dagli animali sulla corteccia, opportunamente raccolti e conservati, si può estrarre il DNA del loro “proprietario” e quindi identificarne il corredo genetico

La natura prevalentemente carsica dei monti dell’Appennino, caratterizzata da una roccia permeabile e da un sottosuolo ricco di grotte e inghiottitoi, assai di rado consente la presenza di acque superficiali sui pendii montuosi e nelle valli in quota. Pertanto sono rarissime le faggete di montagna attraversate da corsi d’acqua permanenti. Nel PNALM, le uniche faggete vetuste che rispondono a queste caratteristiche si trovano nel Comune di Opi e sono quelle di Cacciagrande e Valle Jancina, le più estese dell’Area Protetta. Le acque limpide e fresche dei torrenti che attraversano queste foreste creano le condizioni idonee per la riproduzione di alcune specie di anfibi, solitamente assenti dalle faggete vetuste in quanto localizzate a quote e esposizioni diverse. Nel 2015, l’Università “Roma Tre” insieme al PNALM ha lanciato un progetto di monitoraggio degli anfibi e rettili presenti nel territorio del Parco. Insieme ad una biologa dell’ateneo romano, noi di “Forestbeat” abbiamo esplorato le zone di Valle Jancino e Cacciagrande per documentare la presenza dell’endemica rana appenninica Rana italica e della meravigliosa salamandra pezzata appenninica Salamandra s. gigliolii nel cuore di queste faggete vetuste. Accanto alla studiosa abbiamo contato le larve di salamandra presenti nelle pozze d’acqua create dai ruscelli e incontrato anche degli individui adulti a spasso nella lettiera forestale. Da questo progetto nascerà un primo atlante completo della distribuzione di queste specie, purtroppo minacciate a livello globale, nel territorio del Parco, in grado di porre l’accento sulle loro necessità ecologiche e le strategie per una duratura protezione.

La salamandra pezzata appenninica, nella foto, vive in alcune faggete vetuste caratterizzate dalla presenza costante di acqua

Nel 2015, l’Università “Roma Tre” insieme al PNALM ha lanciato un progetto di monitoraggio degli anfibi e rettili presenti nel territorio del Parco. La salamandra pezzata appenninica, nella foto, vive in alcune faggete vetuste caratterizzate dalla presenza costante di acqua

Ma nelle cavità e sotto la corteccia dei tronchi dei vecchi faggi si nascondono anche altri animali misteriosi. Le foreste vetuste del PNALM ospitano infatti una sorprendente varietà di pipistrelli, tra cui troviamo anche una vera e propria “star”… Da quasi vent’anni è in atto una collaborazione tra ricercatori dell’Università di Napoli “Federico II” e il PNALM per la realizzazione di progetti di ricerca destinati allo studio, al monitoraggio e alla conservazione dei Chirotteri del Parco. Una delle specie target di questo lungo lavoro è il raro barbastello Barbastella barbastellus. Si tratta di un piccolo pipistrello, il cui habitat d’elezione sono le faggete mature, dove sia minimo l’intervento umano e invece cospicua la presenza di alberi morti in piedi. Su questi e, in particolare, sotto le scaglie della loro corteccia, le femmine di barbastello in lattazione scelgono di localizzare i propri rifugi diurni. Date le peculiari esigenze ecologiche, non è un caso che proprio nel territorio del Parco sia stata localizzata l’unica popolazione riproduttiva di questa specie dell’intera Italia peninsulare. Ma tutte queste informazioni sul barbastello non erano note prima del lungo studio condotto dall’Università di Napoli. I ricercatori partenopei, infatti, dopo aver individuato dapprima i punti di abbeverata regolarmente utilizzati da questi animali, sono riusciti a catturare alcuni esemplari e marcarli con dei minuscoli e leggeri radiotrasmittenti, che non ne impediscono i normali movimenti e che si staccano da soli dopo pochi giorni. “Inseguendo” così gli animali marcati, gli scienziati sono riusciti quindi a individuare gli alberi-rifugio e esaminarne tutte le caratteristiche, con l’obiettivo di riuscire a comprendere meglio le abitudini di questi elusivi abitanti delle nostre faggete e garantire loro una sempre migliore tutela.

La raccolta del legname rappresenta un'attività millenaria che da sempre caratterizza l'economia, ma anche la vita e le abitudini delle popolazioni dei comuni del Parco.

La raccolta del legname rappresenta un’attività millenaria che da sempre caratterizza l’economia, ma anche la vita e le abitudini delle popolazioni dei comuni del Parco. In molti casi l’esbosco, ovvero la rimozione del legname tagliato, si effettua ancora a dorso di mulo o cavallo

I vincoli di protezione previsti dal Parco e i regolamenti vigenti probabilmente non sarebbero sufficienti a garantire la tutela delle sue faggete vetuste, senza il supporto costante di un organo di sorveglianza e repressione delle attività illecite. Il PNALM usufruisce, fin dalla sua fondazione, di un proprio corpo di guardie che vigila e controlla il territorio dell’area protetta. A differenza dei più recenti Parchi nazionali, nei quali la sorveglianza è affidata dalla Legge quadro al Corpo forestale dello Stato, ora Carabinieri, il PNALM mantiene il proprio corpo di guardie storiche, continuando una tradizione e un’esperienza ormai consolidate nel tempo.

I vincoli e i regolamenti non sarebbero sufficienti senza il supporto costante di un organo di sorveglianza e repressione delle attività illecite. Il PNALM usufruisce, fin dalla sua fondazione, di un proprio corpo di guardie che vigila e controlla il territorio dell'area protetta. Nella fotografie i guardiaparco guidano un team di ricercatori in una faggeta vetusta

I vincoli di protezione previsti dal Parco e i regolamenti vigenti probabilmente non sarebbero sufficienti a garantire la tutela delle sue faggete vetuste, senza il supporto costante di un organo di sorveglianza e repressione delle attività illecite. Il PNALM usufruisce, fin dalla sua fondazione, di un proprio corpo di guardie che vigila e controlla il territorio dell’area protetta. A differenza dei più recenti Parchi nazionali, nei quali la sorveglianza è affidata dalla Legge quadro al Corpo forestale dello Stato, ora Carabinieri, il PNALM mantiene il proprio corpo di guardie storiche, continuando una tradizione e un’esperienza ormai consolidate nel tempo.

Ma il rispetto delle regole da solo non basta a far comprendere le necessità imprescindibili della conservazione della natura e a creare, in ultimo, una coscienza ecologica diffusa in tutte le fasce della popolazione. È per questo che il PNALM riconosce un ruolo fondamentale alla comunicazione. L’Ente dispone infatti di un Servizio di Comunicazione, che si occupa della promozione del territorio protetto e della divulgazione di tutte le attività e ricerche in corso, mantendo allo stesso tempo un dialogo costante con il pubblico. E progetti come “Forestbeat” ne sono un evidente esempio. Nel 2017 l’UNESCO ha finalmente conferito alle faggete dell’Appennino l’importantissimo e tanto atteso riconoscimento di patrimonio mondiale dell’Umanità, che ne sancisce la rilevanza a livello internazionale, richiedendone allo stesso tempo l’intangibilità. Ciò, aggiunto al regime di protezione integrale già conferito dal PNALM a queste foreste, ne dovrebbe assicurare il futuro, ma non bisogna mai dimenticare che queste foreste rappresentano dei sistemi dinamici, in perenne evoluzione, e che lo studio, la comprensione e in ultimo l’apprezzamento di questi costanti cambiamenti sono forse la garanzia migliore per la loro protezione.

Non bisogna dimenticare che le faggete vetuste rappresentano dei sistemi dinamici, in perenne evoluzione, e che lo studio, la comprensione e in ultimo l'apprezzamento di questi costanti cambiamenti sono forse la garanzia migliore per la loro protezione

Non bisogna dimenticare che le faggete vetuste rappresentano dei sistemi dinamici, in perenne evoluzione, e che lo studio, la comprensione e in ultimo l’apprezzamento di questi costanti cambiamenti sono forse la garanzia migliore per la loro protezione

© Bruno D’Amicis / Umberto Esposito 2013-2017 – www.silva.pictures

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